L’abbandono da parte di un genitore prolungato nel tempo costituisce illecito endofamiliare permanente

L’abbandono da parte di un genitore prolungato nel tempo costituisce illecito endofamiliare permanente
10 Luglio 2020: L’abbandono da parte di un genitore prolungato nel tempo costituisce illecito endofamiliare permanente 10 Luglio 2020

La Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 11097 pubblicata in data 10.06.2020, è stata chiamata a pronunciarsi in un caso di responsabilità civile per violazione di obblighi genitoriali e, in particolare, ad affrontare la questione relativa alla natura dell’illecito endofamiliare ed alla sua prescrizione.

IL CASO. Un figlio conveniva in giudizio il padre per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a causa delle violazioni agli obblighi genitoriali poste in essere dal genitore fin dalla sua nascita. Il padre, infatti, nel corso degli anni non si era mai curato del figlio, né da un punto di vista emotivo né da un punto di vista economico.

In primo e in secondo grado il figlio vedeva però rigettate le proprie pretese.

In particolare, la Corte d’appello aveva ritenuto di qualificare il danno endofamiliare subito dal figlio come illecito istantaneo ad effetti permanenti e ne aveva pertanto dedotto la maturata prescrizione quinquennale per l’intero arco temporale oggetto della domanda.

Avverso la sentenza della Corte d’appello proponeva, quindi, ricorso per cassazione il figlio lamentando, tra l’altro, che la Corte d’appello aveva errato nel riconoscimento della natura di illecito istantaneo ad effetti permanenti dell’illecito endofamiliare in quanto, nel caso di specie, si sarebbero verificate da parte del padre “mancanze continue e complesse”, dalla sua nascita sino all’azione giudiziaria, sicché si sarebbe trattato di una “omissione unica” durata quarant’anni.

LA DECISIONE. La Suprema Corte si è soffermata dapprima ad analizzare che cosa debba intendersi per danno endofamiliare e, successivamente, sulla natura dell’illecito endofamiliare.

Ha riconosciuto, dunque, che il cd. danno endofamiliare è un genus di danno, sviluppatosi negli ultimi decenni in concomitanza con il superamento della concezione della famiglia “come istituto pubblicistico sostanzialmente intangibile dalla tutela risarcitoria aquiliana”, che si divide in due species: quello relativo al rapporto di coniugio/unione e quello relativo al rapporto genitoriale, come nel caso di specie determinato dall’abbandono parentale.

Ha, infatti, osservato che “l’abbandono parentale consiste nel mancato adempimento protratto per un minimum temporale di rilevanza di tutti gli obblighi che il genitore ha nei confronti della prole: una completa e costante assenza del genitore nella vita filiale, dunque, che è un perfetto esempio di omissione permanente, ontologicamente diversa dalla reiterazione di singoli illeciti istantanei”. 

La Suprema Corte si è soffermata, poi, ad analizzare la natura dell’illecito endofamiliare nel rapporto genitoriale ed ha riconosciuto che esso può essere qualificato come istantaneo, laddove la violazione di obblighi genitoriali consista in una singolare condotta inadempiente, o permanente, quando il genitore si estranei per un periodo significativo dalla vita della prole. Nel caso di specie, quindi, non vi era dubbio, che l’illecito endofamiliare doveva ritenersi permanente.

Inoltre, la Suprema Corte ha proseguito soffermandosi sugli importanti riflessi che la predetta distinzione ha in ordine all’individuazione del dies a quo necessario per verificare l’eventuale prescrizione del diritto al risarcimento del danno. 

Nel caso di illecito endofamiliare istantaneo, infatti, la prescrizione del risarcimento inizierebbe a decorrere dalla manifestazione iniziale del danno, mentre nella seconda ipotesi, quella di illecito permanente, la prescrizione ricomincia continuamente a decorrere dalla manifestazione iniziale fino a quando la condotta illecita causante non è cessata, sicchè il diritto al risarcimento sorge in modo continuo, via via che il danno si produce, ed in modo continuo si prescrive, se l’azione non viene esercitata entro cinque anni.

Pertanto, trattandosi per l’appunto nel caso di specie di illecito endofamiliare permanente, il diritto al risarcimento del danno non poteva ritenersi prescritto, diversamente da quanto deciso dai Giudici di primo e di secondo grado.

La Suprema Corte, quindi, ha cassato la sentenza impugnata e rinviato alla Corte d’appello in diversa composizione.

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